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con delicatezza, come fossero guanti: le lisciava sopra il piede, e questo piede, così piccolo e lucente, dentro quell’astuccio d’oro, le pareva proprio un gioiello. Insisteva, col suo accento basso, immutabile:

— Eppure a me pare che le vadano bene.

Allora la principessa scattò davvero: ritirò bruscamente il piede dalla mano della donna; e mentre la scarpina cadeva sul tappeto come una foglia d’autunno accartocciata, a lei parve che la gioia effimera provata nel ricevere la bella calzatura, le cadesse egualmente dal cuore.

Annarosa le rimise la scarpina usata, prese quella nuova, raccattò l’altra; e si sollevò, stringendosele al petto, quasi volesse salvarle da un pericolo: poi fissò la padrona, con occhi mutati, lucidi, adesso, quasi cattivi. Anche la sua voce risonò più alta, grossa e severa: disse:

— Sua eccellenza, oggi, è nervosa.

La principessa non si offese; anzi ricambiò rapidamente lo sguardo della donna; lucido e cattivo sguardo anche il suo, che significava: «Tu mi vuoi bene, lo so, villana ubriacona; ti faresti uccidere per me; ed io pure, a volte, credo di volerti bene, di essere quasi protetta da te: ma so che vuoi bene nello stesso modo a mio marito, che ti ha messo qui per sorvegliarmi, e quando penso a questo ti odio».

S’alzò, e quasi di volo tornò nella saletta dove la nonna sfogliava una grande rivista di mode.