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— Oh, per questo, capirà...
Si capiva benissimo che duecentocinquantamila lire, piovute in quella casa, rappresentavano una caduta di stelle: bastava guardare il lume a petrolio, adagiato, sul tappetino di lana a frange, e, sulla mensola, sotto lo specchio appannato, un piatto di marmo che offriva una gelida natura morta, pur essa di marmo: due fette di prosciutto, due fichi spaccati, un panino fresco.
— Com’è andata? — rispose infine, più che altro per levarsi la seccatura, il poco amabile signor Fausto. — Così! Ho sognato i numeri, adesso non ricordo più come, li ho giocati, ho vinto.
— Ma lei, dicono, usava giocare tutte le settimane, e in più di una ruota.
Vedendosi scoperto, l’altro s’inalberò, ma lievemente, e subito si ricompose.
— Ne dicono tante! Però, sì, qualche volta ho giocato, anzi, parecchi anni fa mi è capitata una cosa curiosa.
— Racconti, racconti!
— Ero giovane ancora, e andavo volentieri a spasso con una signorina. Era tutta svenevole, tutta romantica, — egli aggiunse, animandosi al ricordo e imitando grottescamente la voce, i gesti, gli sguardi languidi della fanciulla, — così, così. Bene, un giorno si arriva davanti al botteghino del lotto, ed io la invito ad entrare, per comprare un biglietto, con il quale avevo una