Pagina:Deledda - La vigna sul mare, 1930.djvu/157


— 151 —

— Oh, per questo, capirà...

Si capiva benissimo che duecentocinquantamila lire, piovute in quella casa, rappresentavano una caduta di stelle: bastava guardare il lume a petrolio, adagiato, sul tappetino di lana a frange, e, sulla mensola, sotto lo specchio appannato, un piatto di marmo che offriva una gelida natura morta, pur essa di marmo: due fette di prosciutto, due fichi spaccati, un panino fresco.

— Com’è andata? — rispose infine, più che altro per levarsi la seccatura, il poco amabile signor Fausto. — Così! Ho sognato i numeri, adesso non ricordo più come, li ho giocati, ho vinto.

— Ma lei, dicono, usava giocare tutte le settimane, e in più di una ruota.

Vedendosi scoperto, l’altro s’inalberò, ma lievemente, e subito si ricompose.

— Ne dicono tante! Però, sì, qualche volta ho giocato, anzi, parecchi anni fa mi è capitata una cosa curiosa.

— Racconti, racconti!

— Ero giovane ancora, e andavo volentieri a spasso con una signorina. Era tutta svenevole, tutta romantica, — egli aggiunse, animandosi al ricordo e imitando grottescamente la voce, i gesti, gli sguardi languidi della fanciulla, — così, così. Bene, un giorno si arriva davanti al botteghino del lotto, ed io la invito ad entrare, per comprare un biglietto, con il quale avevo una