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— Ho fatto anche la guerra, — osservò, come fra sé, quando si accorse che era il momento di compensare gli ospiti della loro generosità, con qualche cosa che li saziasse e li esaltasse come il loro cibo e il loro vino, — ma non voglio raccontarvene che il lato bello. Disgraziatamente fui anch’io fatto prigioniero, e portato in un campo di concentrazione al nord dell’Austria: un luogo tutto pietre, arido, caldissimo d’estate e siberiano d’inverno. Eravamo in molti, ammassati come belve in un recinto di rocce: fame, sete, tristezza, insetti così grossi che si doveva schiacciarli coi sassi. Io tuttavia conservavo la mia serenità, direi anzi la mia allegria, e cercavo di infonderla agli altri. In uno solo non ci riuscivo: un giovane tenente di fanteria, sempre cupo e avvilito, che non parlava mai, che tentava costantemente d’isolarsi, e verso sera si arrampicava su una roccia, a fissare l’orizzonte, quasi aspettasse un segno del cielo che illuminasse la sua disperazione. Ed ecco, una volta, io mi avvicino a lui, piano piano, e gli dico sottovoce:

— Fratello, forse io posso fare qualche cosa per voi. A giorni, con l’aiuto di Dio, io sarò,