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stato di tristezza, di esasperazione, e si dica pure di odio, che la soffocava quando qualche altra persona si permetteva, in certi momenti, di salutarla. Poiché l’ombra che adesso le stava davanti, come uno sgorbio nero schizzato per dispetto su un bel quadro di maniera, altri non era che un gobbo.
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Egli teneva in una mano il bastone, e il berretto che si era tolto dalla grossa testa coperta di una lanugine nera spruzzata di fili d’alghe: con l’altra reggeva un grande coperchio di latta, che brillava come fosse d’argento: e la piccola Agata ebbe, nel guardarlo di sotto in su, una delle sue immagini poetiche: sì, invero, il gobbino pareva uno gnomo del mare, sbucato fuori dalle caverne della scogliera, con la luna piena in mano.
Lentamente, con un fare da odalisca, che le era naturale, ella sollevò i lunghi occhi verdi e scosse il bel braccino nudo, assediato di braccialetti con smeraldi, rubini, acquemarine, che in tutto non avevano il valore del coperchio di latta; poi domandò:
— E tu, come stai? Perché non ti sei fatto più vedere da queste parti? — impiegando un minuto abbondante per pronunciare queste parole.