Questa pagina è stata trascritta e formattata, ma deve essere riletta. |
— 136 — |
bene i volanti e le trine della sua sottoveste. Adesso l’ombrello la nascondeva quasi tutta, e il vento, che veniva dal mare, l’aiutava a tenerlo basso, rinfrescandone il cerchio d’ombra che pareva, così, quella di un alberello fiorito. Sì, di un alberello fiorito: e l’impressione e l’immagine erano tutte sue, di lei, Agata, l’unica figlia gobba del ricco signor Sansone: di lei, Agata Sansone, che quando riusciva, come in quell’ora, a strapparsi dalla cornice nera e tarlata della sua vecchia casa di campagna, e non si vedeva più negli occhi del suo prossimo, le sembrava di avere la trasparenza e la forza del nome che la sorte le aveva assegnato per scherno.
*
— Buon giorno, signorina Agata; come sta?
Nel sentirsi scoperta, nonostante tutte le sue precauzioni, ella ebbe un moto di sdegno; ma niente paura: chi la salutava, e le si alzò davanti fra uno scoglio e l’altro e la pennellata lilla dello sfondo, era una vecchia conoscenza. Ed anzi, al primo impeto di dispetto, più che altro provocato dall’irriverenza che le si usava, salutandola cioè quando era evidente che ella voleva essere lasciata tranquilla, seguì un senso di sollievo, quasi di allegria: allegria in fondo ironica, quasi grottesca, ma preferibile sempre allo