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nella sua voce asprigna; c’era una semplice constatazione di fatto.

La nonna ebbe voglia di darle un volgarissimo ceffone: ma aveva anche lei soggezione dell’ambiente. Soggezione e rispetto. E, forse anche per questo, spiegazzò qua e là le carte colorate, tentata di strapparle: l’altra lasciava fare, inaccessibile.

— Ma via, Alys, questo si chiama offendere il Signore. Egli ti ha concesso tutto, nella vita, e tutto tu disprezzi.

— Ma no, nonnina; sei tu che sei nervosa, oggi. Io non disprezzo niente.

— Sì, che disprezzi la tua fortuna. Ricordati come eravamo; povere, sotto la nostra apparenza decorosa: e sole, nella nostra bicocca laggiù, — accennava al paese, in fondo alla collina, dal quale ella veniva, — senza l’aiuto di nessuno: eppure tu eri un raggio di sole, non per me, ma per te stessa. E studiavi; e tante cose volevi fare. Dicevi che aspettavi anche il Principe Azzurro. E il principe venne, Alys....

Alys fece finalmente una smorfia: da vera monella,

— Anzitutto ti prego di chiamarmi col mio nome di allora: Alice. In quanto al principe, fu poco azzurro; ma non importa.

— Volevi forse davvero quello della leggenda?

— Oh, no, davvero, — ella replicò, imitando la voce della nonna; — sarebbe stato così noioso.