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— Oh, per questo non importa: sua nipote mi ha fatto mangiare come un lupo.
Così egli rimase. Suo scopo era di stringere amicizia col vecchio, di farlo parlare, di condurlo ai suoi intenti: il Gilsi lo capiva, e, sebbene ancóra incerto se fidarsi o no, tentò di assecondarlo. Rimasero a lungo seduti su una panchina davanti alla casa, mentre il cavallo ruminava la sua seconda porzione d’orzo, e il cane ogni tanto ringhiava, ma piuttosto benevolo, come volesse solo richiamare l’attenzione del vecchio.
— È geloso, — questi spiegò, — lei non può figurarsi quanto. Questa scorsa estate, quando vennero qui mia nipote e la madre, perché io stessi attento a lui si fingeva malato. E poi capisce tutto. È una bestia che, se agli altri può sembrare indiavolata, per me è come un parente. Ma che dico parente? È un angelo custode: l’ho da sette anni, e mai una volta che non mi abbia avvertito di un pericolo, di qualche cosa sbagliata che io stessi per fare. Una volta...
E qui un lungo rosario di esempi, uno più straordinario dell’altro. L’ingegnere lo ascoltava benigno, senza interessarsi gran che dei miracoli del cane: certo, però, pensava che la bestia, dopo che egli entro di sé stabiliva disegni di amicizia, e, lo si dica pure, di parentela coi Gilsi, dimostrava di partecipare alla buona intesa.
Anche il vecchio, in fondo, era meno scontento del solito; poiché vedeva finalmente una solu-