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66 la via del male


A voce alta non osava dire altro; ma siccome non poteva più star zitto, si metteva a cantare.

Cantava a voce spiegata, qualche volta cercando di ripetere anche il coro che accompagna i canti nuoresi: dal tenore passava al basso, e da questo alla mezza voce; poi riprendeva la strofa. Erano le stesse canzoni d’amore che aveva cantato per Sabina; ora volavano verso Maria.

In quei giorni, in quelle ore di gioia quasi puerile, egli sperava ancora. Non era più la speranza di un amore capriccioso e sensuale, inspirato alla giovine padrona dal servo bello e ardito, ma il sogno d’una gioja ignota, al di là di ogni desiderio impuro, la speranza infine dell’amore vero e casto.

Chi conosce l’avvenire? Egli ricadeva nelle sue fantasticherie; sognava di diventar ricco, di poter un giorno sollevare gli occhi fino agli occhi di lei, e spiegarsi con un solo sguardo.

Allora cantava, e la sua voce volava lontano, al di là della valle, perchè giusto in quei momenti di speranza, quando egli tornava puro come un fanciullo e il pensiero di Maria lo faceva arrossire, l’immagine ardente di lei, che di solito lo accompagnava, migrava lontano, tornava nella cornice della casa paterna.

Ma a misura che s’avvicinava il giorno del ritorno, il senso della realtà riafferrava il giovine innamorato.