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38 | la via del male |
geremo appena saremo arrivati. E domani, via ancora! Intanto, andiamo: sta buono.
Il cane guaì più forte, sollevò le orecchie, un po’ confortato.
Non era la prima volta che servo e cane discorrevano, ciascuno a modo suo, e si capivano. Spesso Pietro gli diceva:
— Che differenza c’è fra me e te? Nessuna. Soltanto, io sono un cane che parla.
Quella sera, poi, egli aggiunse, fra sè:
— Arrivare, mangiare, ripartire, guardare la roba altrui: io e Malafede siamo nati per questo. Nessuno pretende altro da noi. Chi ci vuol bene? Nessuno. Se Malavide ha un’avventura amorosa, un momento dopo non se ne ricorda più; s’io vado dalla moglie del bettoliere toscano, il giorno dopo incontrandola non la guardo neanche in faccia, ed ella fa altrettanto. Cane e servo, servo e cane: è lo stesso.
A un tratto, vicino alla fonte sotto lo stradale, Rosa spinosa prese un ciottolo e lo lanciò sulla schiena del cane.
Malafede abbaiò dolorosamente, si mise a correre in avanti, poi si fermò e tentò leccarsi la ferita.
Pietro si fermò, si volse, cogli occhi lucenti d’ira.
— Chi è stato? — gridò.
— Io, — rispose la ragazza, spavalda.
— Ah, tu. Sciocca! prova ad avvicinarti e t’aggiusterò io la testa: ti farò schizzar l’acqua dal cervello.