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272 | la via del male |
Sabina chinò gli occhi: ora davvero graziosa, col viso arrossato dall’aria fredda, con l’anfora sulla testa e la tunica avvolta intorno alla persona snella.
— Che vuoi che ti dica? Non ho già promesso di... volerti bene?
— Non basta. Sabina. Bisogna che tu prometta di esser mia moglie.
— Ebbene, te lo prometto...
— Sabina, senti. Ciò non mi basta ancora. Bisogna che tu me lo prometta davanti all’altare: ecco perchè ti ho dato appuntamento qui: mi son fatto dare la chiave della chiesa. Eccola...
Sabina si scolori lievemente in viso; mille pensieri le attraversarono in un attimo la mente. La cerimonia proposta da Giuseppe è, per il popolino nuorese, valida quasi quanto il matrimonio: orribili sventure castigano lo spergiuro.
— Lasciami pensare un momento, — disse Sabina, passandosi una mano sulla fronte. — Va ed apri la chiesa, intanto...
— Ah, tu dunque acconsenti?...
— Va, ti dico.
Egli s’avvicinò alla porta: Sabina depose l’anfora per terra e guardò se si vedeva gente nella strada. Nessuno; solo il cavallino rosso, immobile e paziente, aspettava il suo padrone. L’aurora disegnava già i suoi archi rosei dietro la chiesetta solitaria.
La fanciulla raggiunse il fidanzato e con lui penetrò nella povera chiesetta grigia. Giuseppe si levò