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dini si posavano sul muro o s’inseguivano cantando. Sabina rientrò in cucina e s’accoccolò dietro l’uscio. Non piangeva, non si guardava attorno: un pensiero fisso e tetro le offuscava gli occhi già così dolci.

Nonostante la perizia dei medici, l’affermazione dei testimoni, le conclusioni della giustizia illuminata, ella sola scrutava, col suo mite sguardo, il mistero della tragedia, e sentiva la triste verità.

Colta da un altro svenimento, Maria fu portata nella sua camera e stesa sul suo letto. In cucina allora le donne ricomposero la ria e proseguirono i canti funebri, abbandonandosi, ora che la vedova non era più lì, a tutta la foga della loro inspirazione poetica.

Le prefiche erano due: la balia e una zia del morto; la prima era una piccola vecchia vestita di nero, con due grandi occhi azzurri in un visino bianco e molle; l’altra vestiva con lusso, e la cintura d’argento sul bustino di velluto verde si sprofondava nella sua vita grassa.

Questa prefica aveva una bella voce sonora, e godeva fama pei suoi attitidos: finchè Maria aveva assistito alla ria le due donne s’erano limitate a ricordare le virtù del morto, le sue nozze recenti, l’infanzia lontana. Ora invece descrivevano la scena orribile della sua morte, la desolazione della vedova; invocavano vendetta e imprecavano contro l’assassino.

— Nostra Signora del Monte, — cantava la balia, che sembrava molto commossa e si asciugava ogni