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228 | la via del male |
e violacee, che parevano nate dai fiori, incrociarsi e amarsi pazzamente per l’aria; e un filtro d’amore, un desiderio indistinto la illanguidiva tutta. Eppure la stretta ardente della mano di Francesco non riusciva a far divampare il fuoco del desiderio che le covava entro il cuore; s’egli si fosse voltato e l’avesse baciata, ella avrebbe pianto di tristezza.
Ma finalmente giunsero all’ovile: Maria si scosse, scivolò svelta dalla groppa di Maseda, e guardò se il sudore della cavalla le aveva macchiato la sottana.
— Mi pare d’aver dormito, — disse, facendo qualche passo per sgranchirsi le gambe.
Francesco si mise ad armacollo il fucile che aveva sempre tenuto sul davanti della sella, e fischiò per avvertire del loro arrivo il pastore.
Ben presto giunsero, saltando ed abbaiando, i cani dell’ovile, e tutta la tanca, poco prima silenziosa, risuonò di voci amiche. Le giovenche muggivano, quasi indovinando l’arrivo del padrone; i cani degli ovili vicini rispondevano all’abbaiare dei cani di Francesco; i pastori accorrevano.
Maria s’avviò verso la capanna.
La vasta tanca era chiusa da muricce assiepate; al nord s’elevavano grandi roccie, al di là delle quali, coperto da alti rovi e da quercie selvaggie, insinuavasi un sentiero che pareva un antro.
La capanna e le mandrie, fatte con muri a secco e coperte di rami e di frasche, sorgevano quasi nel centro della tanca, addossate ad una roccia e circondate da una breve radura.