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la via del male 21

cielo d’un azzurro abbagliante, gli elci immobili pareva guardassero pensosi l’orizzonte opposto.

Una vegetazione selvaggia copriva i fianchi della valle; tra il verde cinereo dei fichi d’india e degli olivi brillava il verde smeraldino della vite, e la vitalba s’intrecciava al lentischio lucente.

Qualche roccia, forse un giorno precipitata dalla montagna, sorgeva qua e là negli anfratti e in riva al torrentello che rinfrescava i piccoli orti in fondo alla valle. L’edera e la pervinca coprivano le roccie; sentieri appena tracciati scendevano e salivano, tra i rovi e i cespugli; macchie gigantesche di fichi d’india, dalle foglie pesanti nate le une sulle altre, incoronate di frutti e di fiori d’oro, sporgevano sui ciglioni e s’arrampicavano sulle chine.

Maria, in semplice gonnella d’indiana grigiastra, col bustino di velluto verde che appariva come una macchia un po’ più morbida e viva fra il verde della vigna e dell’oliveto, vagava qua e là a passi svelti, agile e pieghevole; si curvava ad esaminare i grappoli, si allungava per toccare un frutto quasi maturo, spiccava con una canna i fichi d’india dorati. Come certi insetti verdi che prendono il colore del cespuglio ove son nati, ella pareva un’emanazione della valle feconda: aveva la flessibilità della vite e la maturità carnosa e un po’ voluttuosa del fico d’india.

Ma, appunto come il fico d’india, ella non sapeva nascondere le spine, e Pietro la guardava