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lante e innamorato, ma coi suoi soliti modi insinuanti e un po’ affettati.

La gente andava e veniva: le giovinette e qualche adolescente si divertivano a stringer patti di fede e d’amicizia (comparia), annodando e snodando sette volte le cocche d’un fazzoletto e stringendosi poi la mano, dandosi del voi e chiamandosi compari e comari; nelle camere di sopra si udiva il tintinnìo dei bicchieri e le voci rauche ed allegre degli amici di zio Nicola, ma nell’angolo ove s’erano ritirati gli sposi, sotto la volta della scala, regnava una pace soave, quasi triste. Il sole era scomparso; l’ombra aveva invaso il cortile; sul cielo limpidissimo si stendevano i primi veli rosei del crepuscolo; non un alito di vento, non un canto di uccello, non una nuvola, turbavano l’armonia melanconica e dolce di quell’ora, e gli sposi si sentivano vagamente turbati. Maria era divenuta un po’ pallida; i suoi occhi sembravano più grandi del solito.

— Ti diverti? — domandò Francesco, palpando con un dito le pietre degli anelli che coprivano le mani di Maria.

— Se non mi diverto oggi, quando potrei divertirmi? — ella disse, con lieve ironia.

Francesco le cinse la vita col braccio, la guardò negli occhi con desiderio ardente. Com’ella era bella così, un po’ languida e stanca, con gli occhi smarriti, rivolti al cielo roseo! No, nessun re della terra poteva esser felice come in quel momento si sentiva felice Francesco Rosana. Egli fremeva lieve-