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— Ebbene, al diavolo la fisarmonica: cantiamo, — propose un ballerino anziano, un bell’uomo roseo dalla lunga barba nera.

— Almeno ballerai, — ardì mormorare Sabina, afferrando la mano di Pietro.

Egli si lasciò trascinare dal circolo saltellante, ma la sua mano senza vita pareva a Sabina la mano di un morto.

Tre giovanotti riuniti nel centro del cortile intonarono a voce il motivo del ballo sardo; la nota del tenore, d’una sonorità selvaggia, pareva venir di lontano, da una foresta primordiale, ove un fauno s’era svegliato cantando. Intorno ai cantori, il circolo dei ballerini animati dalla caratteristica musica vocale, saltava e strisciava, serpeggiante, ora restringendosi, ora allargandosi; qualche giovinotto emetteva di tanto in tanto un grido selvaggio, di gioia un po’ beffarda, e i cantori proseguivano il loro strano:

               Bimbaràmbàra mbài, bimbarambòi.

Ma a misura che il sole declinava dietro il portone, e l’ombra invadeva il cortile, gl'invitati diventavano seri e pensierosi; ognuno ricominciava a pensare ai fatti suoi e pareva svegliarsi dall’ebbrezza di quel giorno di nozze. A poco a poco il ballo, i canti, i suoni cessarono; molte persone partirono. Francesco attirò Maria in un cantuccio; sedettero ed egli le prese una mano. Il moto del ballo e la digestione avevano fatto svanire la mezza sbornia dello sposo: ora egli tornava ad esser ga-