Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
210 | la via del male |
lontano che pareva un galoppo sfrenato di cavalli, e un velo sanguigno gli cadeva sugli occhi.
Ma solo Sabina badava a lui, e s’accorgeva dello sguardo selvaggio che egli rivolgeva agli sposi. Pallida, quasi sofferente, ella non nascondeva la sua ansia e la sua delusione. Aveva atteso Pietro; l’aveva sentito venire; ma ora s’accorgeva che egli era venuto per disperazione.
— È finita, — pensava anche lei, — non c’è più speranza. Egli l’ama sempre e neppure si accorge di me. Come la guarda! I suoi occhi sembrano di vitriolo: mi fanno paura.
— Che hai, cuore mio? — le chiese un giovinetto. — Perchè sei così pallida? Che hai veduto?
Ella alzò le spalle: il giovinotto girò lo sguardo attorno, ma non vide che volti sorridenti e rosei.
La festa era al colmo; tutti ridevano e parlavano, con le labbra lucenti di grasso, gli occhi lustri, le mani sollevate; barzellette amene, frasi equivoche guizzavano da un capo all’altro della mensa; qualcuno imprecava.
Ritto accanto alla sposa, col volto color rame a metà lumeggiato da un raggio di sole, un pastore alto, dai capelli rossastri e la barba selvaggia, tagliava destramente a piccoli pezzi un bel porchetto arrostito. Il coltello a serramanico, che il pastore aveva tratto dalla sua saccoccia, e quasi spariva nella sua mano nodosa enorme, trovava ogni giuntura, tagliava ogni nervo, scorreva scricchiolando sulla crosta rossa del porchetto. Quando