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pecora rubala, e messa sulle spalle ad uno dei colpevoli.

Pietro urlava, si morsicava le mani. Invano egli e i suoi compagni protestavano la sua innocenza.

— Cammina, intanto, — gli disse uno dei carabinieri, urtandolo col calcio del fucile. — Se sei innocente si vedrà.

Egli dovette avviarsi: gli pareva di fare un brutto sogno. Rifaceva la strada tante volte percorsa così dolorosamente, e imprecava come un dannato.

— Sono dunque maledetto? — si domandava. — Chi mi ha scomunicato? Che diranno i miei padroni quando sapranno? E lei? Mi crederà davvero un ladro?

Ad un tratto incontrarono il padrone della pecora, il quale aveva avvertito i carabinieri.

— Bobòre, — gridò Pietro, minacciando e supplicando. — io sono innocente! Fammi rilasciare o te ne pentirai! Io non ti ho mai offeso, Bobòre, te lo giuro, come è vero Dio. Lanciami libero: io sono un uomo perduto.

— Pietro, — disse il pastore, — io ti credo, ma non ho colpa se ti hanno arrestato, lo sono un povero diavolo: è la terza pecora che questi demoni qui mi hanno rubato; ora non ne potevo più.

I contadini dissero:

— L’abbiamo trovata morta, vicino alla siepe... Morta di mal di Dio...

— Che il diavolo vi appenda; questo si vedrà.

— Io sono innocente, — gridava Pietro.