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172 | la via del male |
— Ritornerò, qualche altra volta; ma ella starà in guardia. Ah, se sapessi scrivere! Che lettera le manderei, scritta col mio sangue!... Come farò dunque? — pensava, disperato. — Come farò, come vivrò?
Gli venne in mente di nascondersi in qualche casa vicina, e di là mandare a chiamar Maria.
— Ma quale scusa dirò ai vicini? Eppoi ella starà in guardia, non verrà, e si offenderà del mio procedere.
Ma poi ricordava le parole della padrona vecchia: «per le nozze di Maria faremo il pane col grano che tu semini» e un barlume di speranza gli rischiarava la mente.
— C’è tempo, dunque. Aspettiamo.
E così ritornò al suo posto di lavoro, e seminò con amarezza il grano che «doveva servire per fare il pane delle nozze».
Ah, avrebbe voluto avvelenare o gettare al vento la semente!
I giorni passarono, lenti, eguali, tristissimi. Nei violacei crepuscoli dell’altipiano la figura del servo tradito appariva sempre più cupa, dura e bruna; quando egli si fermava su qualche roccia e scrutava l’orizzonte con occhi melanconici e selvaggi sembrava la statua dell’odio.
Egli odiava tutti: zia Luisa, la grassa adoratrice del denaro, per la quale un uomo povero era un essere incompleto; zio Nicola, che aveva saputo conquistare con la sua bellezza e la sua audacia una donna come sua moglie; Francesco, «l’avoltojo»: Maria, che s’era lasciata afferrare