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12 | la via del male |
— Spero rivederci, Pietro. Fa il contratto con zio Nicola, sai: è un buon uomo, dopo tutto. Tieni duro e vedrai che ti darà tutto quello che vorrai.
— Grazie del consiglio: ma io non vado là — mentì ancora Pietro.
Invece, appena fuori, voltò a destra e s’avvicinò alla casa dei Noina.
Invero, la casetta, bianca e quieta dietro l’alto muro del cortile, pareva guardasse con disprezzo le catapecchie ammucchiate qua e là intorno allo spiazzo e lungo la straducola polverosa. Pietro spinse senz’altro il portone rosso socchiuso ed entrò.
A destra del vasto cortile, lastricato di ciottoli, arso dal sole, pulito e ordinato, Pietro vide una tettoia che funzionava da stalla e da rimessa: a sinistra biancheggiava la casa, con la scala esterna, di granito, rallegrata da ciuffi freschi di campanule attortigliate alla ringhiera di ferro.
Con ordine quasi simmetrico stavano qua e là disposti molti attrezzi contadineschi: un carro sardo, vecchie ruote, aratri, zappe, gioghi, pungoli, bastoni.
Sotto la scala s’apriva una porta; più in là un’altra porta di legno affumicato, con un finestrino sulla parie più alta, indicava l’ingresso della cucina.
Pietro si diresse là, guardò dal finestrino aperto e salutò.
— E ite fachief? — Che fate?
— Entra — rispose senz’altro una donna bassa e pingue, dal lungo viso bianco e calmo, incorniciato da una benda di tela tinta con lo zafferano.