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la via del male 129

lontananza, da qualche piccola palude formatasi dopo le prime pioggie di settembre, saliva uno nebbiolina azzurrastra che pareva l’alito della terra febbricitante. Intorno, per vastissimo circolo dell’orizzonte, le montagne svanivano azzurre nella vaporosità lunare, e su tutte le cose arcanamente tacite vegliavano le stelle, vive sul cielo chiaro e profondo.

Le ragazze camminavano e camminavano, bianche di lune, silenziose e raccolte; i capelli di Maria volavano alla brezza, e pareva volessero staccarsi, seguire il soffio che li accarezzava; ma poi ricadevano sulle spalle della giovane donna, come stanchi e pentiti del loro capriccio.

A un tratto le ragazze si fermarono, ascoltando. Nel profondo silenzio che precedeva l’alba s’udiva il trotto di parecchi cavalli. Un’eco di voce umana giungeva con la brezza. Chi sarà, chi non sarà? Ecco, sull’ultima linea azzurrognola della tanca si profila una lunga macchia nera che a poco a poco s’avvicina, si divide; ombre di cavalli e di uomini s’allungano sulle stoppie illuminate dalla luna.

— È gente che va alla festa. — disse Maria.

Uomini e donne in costume, i primi con l’archibugio ad armacollo, le altre sedute sulla groppa o in sella o a cavalcioni di piccole achettas1, apparvero e circondarono le ragazze ferme fra le stoppie.

Nella carovana si distingueva fra tutti un giovane paesano, che montava una calabrina2 bianca, alta, irrequieta, dalla testa fina e la coda abbondante.

  1. Cavalle
  2. Cavalla