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mìa sporgersi e ritirarsi di sotto il guardaroba. Lentamente apparvero il musetto roseo e la fronte vellutata, sotto cui brillarono due liquidi smeraldi.

Dimentico d’ogni altra cosa, il vecchio guardava, incantato dal desiderio di veder avvicinare la graziosa gattina, di afferrarla e carezzarla; ma dietro la porta s’udì il raschiare del cane, e Mimìa sparve di nuovo, velocemente e coi baffi irti.

— Va via, Josto! — gridò Maria alzandosi; e socchiudendo la porta vide sparir nella penombra della stanza attigua la coda del cane e il lembo verde della gonna di zia Larenta.

Don Piane chiamava:

— Vieni fuori, bellina, vieni, che il cane non c’è più. Mimìa, gattina, vieni fuori....

Dopo molte preghiere la gattina si degnò di mostrare il nasino schiacciato, su cui pareva errasse un sorriso di ironia.

— Prendila ora! — disse don Piane.

Maria l’afferrò per il collo e la trasse fuori tutta fremente, coi grandi occhi spauriti, non più verdi, ma color di madreperla e le iridi nere dilatate.

— Eccola qui! La volete? — domandò portandola sul canapè e affidandola all’entusiasmo del suocero.

In quel momento entrò sorridendo e rinchiu-