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grande, segreta paura per quella donna, si sentì gelare e tacque.

Contemporaneamente Mimìa, la bella gattina grigia, vedendo Josto aggirarsi fiutando i bastoni del telaio, sbuffò spalancando la bocca, ingrossò la coda e, attraversando le sottane di donna Maurizia, sparì sotto un guardaroba.

— Inimicizia completa! — pensò Stefano, sorridendo con ironica indulgenza.

— Buona sera, donna Maurizia. Abbiamo dunque fatto una passeggiata lunga lunga; il babbo non ne può più, e siamo entrati per riposarci e per decidere se Maria debba piantarci a mezza strada.

Egli scherzava, ma donna Maurizia si ritrasse senza sorridere, senza salutare, senza pronunziar parola.

— Sedetevi, sedetevi, — disse Maria; e rosea, confusa, timorosa della collera materna e dell’ira di don Piane, mise in iscompiglio tutte le sedie e tutti gli sgabelli. Ma, lieto e disinvolto, Stefano fece sedere il padre sul canapè, e gli si abbandonò accanto ridendo come un fanciullo.

— Sa, donna Maurizia, abbiamo fatto una bella passeggiata?

— Maria, — impose ruvidamente Maurizia con la sua grossa voce maschile, — fa andar via quel cane, altrimenti si ammazzano con Mimìa.