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toso d’un salice; Stefano taceva sempre ostinatamente.

Maria lo credeva smarrito in qualche strana fantasticheria, forse in qualche memoria dell’infanzia lontana; egli invece parlò prosaicamente delle male azioni di Serafina.

— Chi ti riporta questi pettegolezzi? Io non ci credo! — disse don Piane dando una formidabile bastonata al salice.

La giovine arrossì, comprendendo l’offesa, tacque, ed anzi, vedendo Stefano alterarsi fanciullescamente, lo calmò con buone parole.

— Sta quieto: ti farà male: sta quieto, conchiuse.

Nella sua voce egli sentì quasi una carezza materna, e si calmò, appoggiando la testa al salice. Solo allora cadde in confuse e dolci fantasticherie: s’udiva soltanto il fresco gorgheggio della cingallegra e il picchiar del bastone di don Piane sul salice; neppure il noce stormiva, e tutte le allodole e i passeri che vi si davano convegno, quel giorno parevano migrati oltre le montagne azzurre del nitido orizzonte.

Ma per tutto il giorno, ed anche nel seguente, pur pranzando col padre e con Maria, egli ricadde nel suo ostinato silenzio. Se lo interrogavano si scuoteva come da un sogno, e faceva: — Ah, e rispondeva confusamente alla ripetizione della domanda.

Maria non osava dirgli che, essendo egli ora-