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calice una diafana ostia, la pose sulla palma della mano sinistra; sopra vi versò una cartina di chinino, ne ripiegò i lembi e infine la depose così piegata sulla punta del cucchiaino.
Egli arrossì lievemente di dispetto nel sentir le prodezze della domestica, e quasi senza accorgersene ingoiò prima l’ostia, poi due lunghi sorsi d’acqua.
— Spero, disse Maria, riprendendo il calice, l’involto e il cucchiaino, — non sarà tuo padre a permetterlo.
— Oh, mio padre! oh, mio padre!... sospirò Stefano, e non disse di più.
Dopo un momento ella lo convinse a scender nell’orto, e passando pel salotto da pranzo si condussero dietro anche don Piane col suo giornale e il suo gatto.
Nell’orto tutto soleggiato, ove le galline per ordine di Maria non penetravano più, regnava una calda dolcezza di mattino estivo: don Piane volle andare a sedersi sotto i salici. L’acqua della vasca (le domestiche avevano lavato), era leggermente livida di sapone, ma rifletteva con egual dolcezza i salici tremanti. Al di là del muro assiepato cantava una cingallegra, e i suoi rapidi, freschi gorgheggi parea salissero dal profondo dell’acqua azzurrastra. Maria rivide, ma come appannate da quel velo azzurrognolo, le immagini della prediletta poesia; don Piane batteva il suo bastone sul tronco filamen-