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posare. Due volte, Stefano si lamentò ed ella, piuttosto che chiamar Ortensia, che per l’occasione dormiva in un attiguo stanzino, si alzò, e gli porse da bere. E sempre provava un profondo disgusto fisico e morale nell’avvicinarsi e nel toccare il febbricitante. La seconda volta aprì il balcone per guardare se albeggiava: ma era ancor notte, la luna splendeva verso lo zenit in una zona di luminosità celeste-mare, e uno strato diafano e ondulato di nuvole, dietro cui s’intravedeva il cielo azzurro, velava tutto il resto del firmamento: nell’orto addormentato era un albore bianco e gelido di neve.
Ella tornò a letto rabbrividendo, più che mai triste e disperata, e pregò che Stefano guarisse l’indomani o che si ammalasse anche lei, onde aver una scusa per andarsene e non tornare più in casa Arca.
III.
Per una settimana proseguì questa vita. Don Piane s’alzava da letto con tanto di muso, e passava le giornate suggestionato or da Maria, or dalle domestiche.
Gli Arca avevano soltanto servi pastori, che, specialmente in autunno, ritornavano raramente in paese.