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avrebbe strepitato e alzato il piccolo pugno; ora invece provava una lieve vertigine; arrossì di vergogna e di piacere, e finalmente sporse le labbra dicendo:

— Non è nulla, non è nulla.

— Non è nulla, — ripetè ella convinta, — sedetevi un po’ qui, finchè Stene si svegli. E lo fece sedere sul sofà turchino. — Si sveglierà presto, credo io: dorme da molto. Mi pare che la malattia sia niente, sapete: un po’ di chinino, nutrizione adatta e basta. È molto debole, Stene: non ve ne siete accorto?

— Altro che me ne sono accorto! Ma lui fa tutto a modo suo. Io gli dico: non uscire! e lui esce a cavallo e va a cacciare nelle paludi, cosa diavolo! Io gli dico: non uscire di notte, e lui invece esce e fa stravizi....

— È vero! — pensò Maria, ricordando con rimorso l’anfora del vino giallo.

— Io dico: guarda la ricetta del dottore, leggila! — e don Piane mostrava alla giovane la palma della mano destra, battendovi su le dita della sinistra. — Cosa dice la ricetta? Rafforzarsi con vivande adatte e bere il ferro-china. Niente, niente, lui non fa nulla e.... pumh! — Fece atto di chi piomba sul letto; si sentì tutto confortato nel veder Maria dargli ampiamente ragione.

— Quando è venuto il dottore? — di nuovo chiese lei, non sapendo che altro dire.