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A quando a quando cadeva sulla trasparenza smeraldina del ruscello una foglia argentea e lunga di pioppo, o una larga foglia di noce; foglie morte, orlate di rosso e bucherellate dal sole, che s’aggiravano sull’acqua bassa e diafana, poi passavano lente e tranquille sopra le gialle, tremule macchie del sole e sparivano sotto la lucida ruota del molino. Non così era caduto, passato e sparito il dolce sogno di lei?

Ora nell’orto degli Arca era una tristezza quasi invernale, con quegli alberi semispogli e rossastri, col pergolato secco da cui pendeva solo qualche rada foglia di vite d’un giallo acceso sfumato in violetto, con quel melanconico e vaporoso sfondo d’orizzonte.

Solo il noce sonoro metteva un po’ di verde cupo su tanta melanconia, spandendo ombra su una distesa piantata a cavoli rachitici e bluastri, e invasa da alte erbe secche e rossastre.

Maria s’accorse tosto che l’andamento dell’orto, come quello della casa, era pessimo. Galline bianche dalla cresta pallida, e nere picchiettate di rosso, e grigie striate di giallo, magre e mal tenute, raspavano sotto i pergolati, scavando larghe righe, avvoltolandosi nella polvere che poi scuotevano sbattendo le ali e piluccandosi sulla schiena, e spandevano per tutto l’orto un’infinità di piume d’ogni colore.

— Ma non c’è il cortile? Che bisogno c’è di