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poi s’accomodò elegantemente sul pavimento, a coda tesa, aspettando e seguendo con gli occhi il movimento del fuso.
Quando il tuorlo e lo zucchero furon ridotti ad una specie di crema, donna Maurizia si alzò e versò nella scodella il caffè bollente, limpido e rosso come vino.
In quel punto entrò Maria, e il gattino le andò incontro miagolando.
— Perchè ti sei levata? — rimproverò donna Maurizia.
— Non vi pare ora? E poi ho sentito che mi chiamavano: chi era?
— Prendi, disse la madre porgendole la scodella scintillante.
— Chi è venuto? — ripetè Maria guardando lo spirito d’uovo senza sorbirlo; e il gattino le si arrampicava sul grembiale.
— Scendi giù, Mimìa, impose donna Maurizia con l’indice teso. — Era quella sciocca di Serafina. Tuo cognato pare che ieri notte, andatosene di qui, abbia fatto qualche stravizio ed ha la febbre di nuovo.
— Dio mio, il vino! — pensò Maria, e per il rimorso e per il calore interno della bevanda che lentamente sorbiva, arrossì fin sulle mani. — Ma che stravizio poteva fare? — osservò timidamente.
— E che stravizio fanno i viziosi? — gridò