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Rasserenata da questa pietosa speranza cominciò a preparar lo spirito d’uovo1 per Maria, mentre il caffè stillava a goccia a goccia entro la macchinetta di latta rosseggiante per il riflesso del fuoco.
Preso un uovo dall’armadio e guardatolo attraverso la luce, lo battè sull’orlo di una scodella, e versato in questa il tuorlo, lasciò l’albo entro la metà del guscio, che adagiò contro una chicchera. Strinse poi la scodella fra le ginocchia, versò molto zucchero sul tuorlo dorato e cominciò a sbatter il tutto con un fuso, girandone il cannello fra le palme delle mani inumidite di saliva. Al noto, sebben lieve romore, accorse soltanto il gattino, e con la coda dritta venne a fregar la testina sulle sottane di donna Maurizia.
— Lasciami in pace, Mimìa, disse ella; ma la bestiola le mise le zampette sulle ginocchia e così ritta sollevò i grandi occhi verdi e sbadigliò mostrando la linguetta rosea.
— E cosa vuoi ora? Aspetta che ti darò da leccare il fuso.
Ma Mimìa voleva di più, e cercò di ficcare entro la scodella i lunghi baffi argentei.
— Questo poi no! Va via! — gridò donna Maurizia; e il gattino, visto inutile ogni tentativo, con le unghie le tirò fortemente la sottana,
- ↑ Frollata.