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ma, ardendo di curiosità, aveva mandato zia Larenta ad origliare.
— Ne parlerò, — disse Maria, chinando gli occhi.
Stefano capì che era impossibile violentarle la coscienza e tacque senza insistere oltre. La sua visita così pareva finita, e, credendo ch’egli non s’indugiasse più, ella s’alzò e volle offrirgli il rituale bicchiere di vino. Ma egli protestò e: — Non bevo; grazie: mi fa male, — disse, respingendo dolcemente il bicchiere non ancora empito.
Ella parve mortificata nel veder respinto il segno della buona ospitalità; ma tosto ebbe una idea, e, tornando verso il guardaroba, ne estrasse una bottiglia a forma d’anfora.
— Bevi, — disse, chinandosi sulla tavola, — è moscato di cinque anni, dolce come il miele. Questo fa bene.
E, sorridente, con l’alta persona snella, curva davanti a Stefano, versò nel calice il vino color d’oro e trasparente come ambra.
— Basta! — esclamò egli, prendendo il calice; e, sollevandolo, lo urtò contro la bocca della bottiglia. Egli alzò ancora più il calice, seguendolo con gli occhi, poi lo avvicinò alle labbra e, incontrando lo sguardo di Maria, sorrise e bevè. Bevè e non pensò ad andarsene: bevè troppo, mescendosi egli stesso il vino, e ogni volta che sollevava il bicchiere lo guardava