Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 290 — |
di rose, che oramai conteneva due idoli, egli sentiva che le sue mani non si sarebbero mai macchiate di sangue, neppure per compiere una doppia famigliare giustizia.
Ma l’odio lo divorava; e anche spezzato, il suo orgoglio non poteva dare il perdono, — la misteriosa nota che mancava nella selvaggia armonia della sua anima.
Per la stessa esile vecchiaia del padre, per la stessa sacra purezza della sposa e madre, per il medesimo superbo avvenire del figlio, per la memoria dei morti, per l’onore dei discendenti, Stefano Arca doveva compiere la vendetta.
Prima però volle riposarsi, calmarsi, vincere l’ira affannosa che lo stordiva; e dormì quasi tutto il pomeriggio, ma senza provare, in quella lunga sera serena che avea tutte le fragranze della primavera e gl’incantesimi dei meriggi estivi, la malìa delle sieste dell’anno passato: anche nel dormiveglia e nel sonno il dolore lo feriva come una lama avvelenata.
Verso le nove di sera entrò da sua moglie e vi si trattenne, senza parlare, senza far rumore. Maria e il bimbo stavano sempre meglio; anzi questo aveva perduto il colore troppo acceso del visino, che ora, fra le morbide ombre traforate dei pizzi della cuffietta, appariva roseo ed immoto, col nasino bianco e le sopracciglia di peluria biondiccia ben disegnate; la madre, meno pallida, riposava.