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ritenere il contrario, credè Filippo Gonnesa colpevole.

A questo pensiero gli parve di smarrir la ragione in una vertigine d’odio e d’umiliazione, di rancore e d’ira contro se stesso, per ciò che aveva provato e pensato da parecchi mesi, per gli sciocchi disgusti, per le strane inquietudini e gli stolti rimorsi sentiti la sera prima e la mattina stessa.

— Ed io pensavo d’aiutarlo ad andarsene lontano! — ripetè ad alta voce, quasi gridando.

— Oh, lontano, oh, molto lontano! Cammina, bestia maledetta! — disse poi, crudelmente spronando la cavalla.

— Oh, lontano, oh, molto lontano! — gridò ancora muovendo appena le labbra. E per tutto il resto del viaggio la violenta affermazione che determinava la morte di Filippo Gonnesa, gli echeggiò in ogni pulsazione del sangue che in questo estremo sogno di vendetta si calmava.

Arrivò al paese verso le dieci antimeridiane; ma gli sembrava fosse il pomeriggio e che un determinato tratto di tempo — non percepiva bene se lungo o corto, ma ad ogni modo non composto di ore, ma di giorni e mesi — fosse trascorso dal momento della sua partenza da Nuoro.

Qualcuno lo salutò, lo fermò, gli chiese notizie della sentenza; e all’udirla così grave se ne congratulò con occhi splendidi di malvagia