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brevi corsi d’acqua, fra profumi di giunchi, di ligustri e di menta peperita, dagli alti fusti verdi dei sambuchi e degli oleandri, freschi gorgheggi di uccelli palustri vibravano nel limpido silenzio mattutino.

Intorno, in grandioso semicircolo, le montagne salivano pel chiarissimo orizzonte; fra monte Albo e monte Pizzinnu l’alba s’indugiava in fulgidi candori di perla. Stefano trottava con gli occhi sempre fissi alle svolte ed alle lontananze dello stradale. Umida di rugiada la ghiaia azzurrognola scintillava, e troppo lentamente le pietre miliari apparivano e scomparivano.

E mai nessuno passava.

A un certo punto, sopra un ponticello, Stefano fermò la giumenta, che profittò della sosta per scuoter la briglia e fiutar la ghiaia; tagliò, attirandola a sè, una lunga foglia d’oleandro, e strappate le foglie dure, formò un frustino che scosso in aria si piegò fischiando. E sbattendolo sulla groppa della cavalla, riprese la via.

A poco a poco i pensieri gli si chiarivano come l’orizzonte; le ansie e la misteriosa inquietudine provate durante la notte e nel crepuscolo mattutino svanivano al crescer della luce; e la solenne cala dei tiepidi paesaggi fioriti, delle macchie, dei cespugli, dei grani dei fiori e delle erbe erette al fulgore del-