Questa pagina è stata trascritta, formattata e riletta. |
— 267 — |
tallica, e l’angosciosa sensazione gli salì dal cuore alla gola. Attratti magneticamente, i suoi occhi si sollevarono incontro a quelli del vecchio Gonnesa, e per un istante, che gli parve lunghissimo, non vide che l’azzurro bagliore di quelle acute pupille. E per suggestione di colore, per rassomiglianza di sguardo, per il recente ricordo suscitatogli in quell’ora suprema dal canto del bimbo, rammentò vivamente il gran cielo solitario della valle, lo sguardo di Filippo, l’impressione d’equità e superiorità provata in quell’indimenticabile giorno.
Il Felix fu condannato a venti anni di lavori forzati per provata complicità nell’assassinio di Carlo Arca; e, come mandatore del delitto, il contumace Filippo Gonnesa a quindici anni, tre mesi e due giorni di reclusione, spese del giudizio, risarcimento di danni alla famiglia dell’estinto, perdizione di diritti civili, interdizione dai pubblici uffici, ecc. ecc.
— Egli è innocente! — pensò Stefano. — Egli è innocente! Egli è innocente! — gli gridarono entro il cuore, entro il pensiero, in ogni pulsazione del sangue commosso, mille voci sonore, salienti dal profondo dell’anima convinta.
La gente che usciva lo urtava e stringeva; per qualche momento egli di nulla s’accorse, e soltanto vide un gran buio, un tenebroso sfondo sul quale brillavano gli occhi azzurri del