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sù, nella fulgida visione, era la salvezza di tutta una esistenza. Nell’educare suo figlio, il gentiluomo fannullone e annoiato avrebbe trovato lo scopo della sua vita: e questo scopo sarebbe di far del bimbo sano un fanciullo educato, un adolescente puro, un uomo forte e sicuro di sè e di quanto voleva, o tutto artista o tutto lavoratore, ma ad ogni modo giusto ed onesto, non ibrido, non felino, non incerto e scontento di sè e degli altri, come l’educazione aveva reso il padre suo.

Il piccolo treno si fermò un poco nella livida stazione del Prato di San Michele.

Stefano non si mosse: quanto v’è di tristezza, di dolore, di desolazione nella vita pareva dilagasse sul cielo di quella sera invernale e nel cuore dell’unico viaggiatore di prima classe.

Eppure, come sotto le nevi, nella indicibile desolazione della pianura, germinavano i grani, l’erbe ed i fiori, nel cuore sepolto da tristi sogni, inconsciamente spuntava una speranza salvatrice, dolce e solenne come il motivo sentito nella valle e invano avidamente ricercato nelle note sonore del cembalo.