Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/260


— 252 —

ste melanconiche idee rimpianse il mese inutilmente passato a Sassari; si meravigliò di avere potuto godere per sì vuoti e piccoli piaceri; e ancora si pentì dell’unico voto con cui s’era permesso, egli debole, egli imperfetto, egli gaudente e felice, di condannare un povero....

Più la sera avanzava, più cresceva la tristezza sua e quella dei fuggenti paesaggi: si addensavano i grigi velari del cielo, e il tenue riflesso dell’unico lontano lembo di luce smorzavasi, cangiandosi in chiarore come di luna.

Egli provò a scuotersi, cercando conforto nel pensare che l’indomani, a quell’ora, sarebbe a casa sua: ma, prima di raggiungere tanta dolcezza, ei doveva passar la notte a Nuoro e poi nuovamente viaggiare per cinque ore entro una incomoda vettura. Con quel tempo e con quell’umore! Oh, Dio! Chiuse gli occhi con raccapriccio e, quasi ciò non bastasse, ricordò che l’indomani mattina — certo, una noiosissima, orrenda mattina — doveva calpestar la fangosa neve delle vie di Nuoro per recarsi da avvocati e magistrati onde sollecitare il processo Gonnesa.

— Oh, Dio mio, Dio mio! — gemè, rialzando le palpebre; e di nuovo, trovando tanta contraddizione fra ciò che sentiva e quello che doveva operare, provò un disperato scontento. Come nella indimenticata mattina d’au-