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di cuoio giallo ricamata e attaccata alla sua cintura. Frugandovi lungamente dentro, a testa china, da quest’ultima borsa trasse un pacchetto di biglietti di banca, quasi tutti laceri e sporchi: poi dalla borsa nera vuotò un mucchietto di monetine d’argento e di rame. E si mise a contarle, mentre Stefano guardava tranquillamente il movimento di quelle grosse mani, livide alla bionda luce della lampada.
Il Porri teneva in affitto una immensa tanca degli Arca, che subaffittava ad altri pastori, e veniva a pagarne il prezzo semestrale, scaduto fin dall’ultimo giorno di settembre.
Siccome egli contava e ricontava sotto voce, imbrogliandosi maledettamente e ricominciando ogni tanto, Stefano cominciò a impazientirsi.
— Lasciate fare a me! — disse, tendendo le mani; e sotto gli attenti occhi del pastore contò spigliatamente e con noncuranza il denaro, gettando le monete sui biglietti, che in breve ne furono ricoperti.
— Mille — disse fermandoli e guardando Arcangelo come per chiedergli: — e le altre cinquecento?
— Sicuro — rispose il pastore con disinvoltura — sono duecento scudi, o non è così? Il resto? eh, il resto quando lo busco: il più presto possibile. Che ella, don compare, possa vedermi cieco se ho potuto raccogliere altro.... e quest’anno ci rimetto il collo, lo sa....