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chi intenti sul tavolo, quasi contemplando il lavoro della domestica.
Don Piane guardò intorno e rivisse in un tempo lontano — forse oltre il mezzo secolo — in un invernale pomeriggio velato e tiepido; e rivide le fini mani sofferenti della sua prima sposa, donna Maria Grazia Dossuni, ricca giovinetta del paese di Mores, la cui grossa dote aveva dato principio all’attuale fortuna degli Arca. Le fini mani sofferenti, adorne di rozzi anelli con corniole e coralli incisi, tagliavano e cucivano cuffiette di damasco rosso guarnite di trine d’oro.
Allora, in quel tempo lontano, la casa pisana conservava il suo primiero aspetto, e gli arredi somigliavano a quelli che ora mobiliavano la casa paterna di Maria Arthabella: allora le donne dei villaggi sardi tessevano ancora arazzi, coperte a trame d’argento, bisaccie fiorite e tappeti di lino; posavano il nobile capo su guanciali di broccato annodati di rossi nastri, e i bimbi scuotevano la ancor crostosa testolina entro cuffie di damasco vermiglio, e venivano coperti di mantiglie di scarlatto orlate di seta turchina.
Tutto questo ricordò don Piane nitidamente, con tale intensità che perdette per alcuni istanti la percezione della realtà, e rivisse nel lontanissimo passato.
Egli aveva amato Maria Grazia Dossuni su
Deledda, La giustizia. | 16 |