Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/228


— 220 —


pastore, che ai flebili lamenti di prima fece seguire una litania di salamelecchi e di sviscerati ringraziamenti.

— Sentite, disse Stefano pochi momenti dopo, rimontando a cavallo, mentre il Porri gli teneva umilmente la staffa; — ora che siete riuscito a strapparmi qualche cosa — e ciò lo faccio non per voi, ma per la creatura innocente che v’ho battezzato — ora venite a dirmi che deporrete quel ch’io vorrò nel processo di Filippo Gonnesa. Quel che io voglio è la verità; null’altro. E vedete questa frusta? (e agitava in aria il frustino) — Ringraziate qualche buon santo che ve n’ha liberato ieri. Se deporrete il falso però l’assaggerete, e bene, un altro giorno!

Per il momento si contentò di sbatterla sulla groppa del cavallo, che preceduto dai cani partì galoppando. Il Porri pensò:

— L’ho sempre detto io che don Stene è un po’ matto!

E tornò presso la povera bestia morta per scuoiarla e lasciarla preda alle aquile, nonostante tutto il bene che le aveva voluto.

Dietro le montagne, d’un denso azzurro bronzino, saliva dal mare, come un immenso petalo di glicina, la delicata e violacea aurora autunnale.