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pastore, che ai flebili lamenti di prima fece seguire una litania di salamelecchi e di sviscerati ringraziamenti.
— Sentite, — disse Stefano pochi momenti dopo, rimontando a cavallo, mentre il Porri gli teneva umilmente la staffa; — ora che siete riuscito a strapparmi qualche cosa — e ciò lo faccio non per voi, ma per la creatura innocente che v’ho battezzato — ora venite a dirmi che deporrete quel ch’io vorrò nel processo di Filippo Gonnesa. Quel che io voglio è la verità; null’altro. E vedete questa frusta? (e agitava in aria il frustino). Ringraziate qualche buon santo che ve n’ha liberato ieri. Se deporrete il falso però l’assaggerete, e bene, un altro giorno!
Per il momento si contentò di sbatterla sulla groppa del cavallo, che preceduto dai cani partì galoppando. Il Porri pensò:
— L’ho sempre detto io che don Stene è un po’ matto!
E tornò presso la povera bestia morta per scuoiarla e lasciarla preda alle aquile, nonostante tutto il bene che le aveva voluto.
Dietro le montagne, d’un denso azzurro bronzino, saliva dal mare, come un immenso petalo di glicina, la delicata e violacea aurora autunnale.