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capanna e si sdraiò, avvolto nel suo lungo cappotto d’albagio foderato di panno rosso. Per un momento, nel breve e pesante dormiveglia, rivide tutti i luoghi percorsi durante quella giornata, che gli appariva come uno spazio lungo e indeterminato di tempo, e gli sembrò d’essere sdraiato sull’erba della valle soleggiata, cullato ancora dalla misteriosa melodia del torrente. Poi improvvisamente risentì il rude ondeggiare della groppa del cavallo che lo trasportava su per la Scala dei gigli, e di nuovo rivide, nitida e decisa, la figura di Filippo Gonnesa che lo fissava. Sollevò la testa e riaprì gli occhi, vitrei e un po’ spaventati, guardando l’apertura della capanna; ma nel breve spazio nero non scorse che tre stelle rosse brillanti; e, ripiegata la testa sulla piccola bisaccia che gli serviva da guanciale, si addormentò.
Svegliandosi, si trovò solo; il fuoco era spento e l’acuta frescura dell’alba inondava la capanna. Uscì: i cani si svegliarono e lo circondarono guaiendo e sbadigliando: con la prima luce argentina la tanca s’animava, le capre uscivano dalla mandria, cozzandosi l’una coll’altra; vivida e pura come diamante la stella Diana brillava ancora sopra le montagne della costa, azzurre sul metallico sfondo dell’alba saliente dal mare.
Ma in questa luce sempre più vivida, mentre le gazze ricominciavano a gorgheggiare nel bo-