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mi che gli causava dolcezza di sonno, le sensazioni cominciarono a velarglisi, sentì il sigaro spegnersi fra le labbra, e ricordò la notte in cui, fumando sul verone una sigaretta egiziana, aveva atteso Maria con ansia tale da smarrir la percezione del tempo e dello spazio.

Ora vagamente rivide nel ricordo, i muri del cortile di Silvestra.

Maria era entrata, aveva parlato e se ne era andata, lasciandogli in cuore una angoscia indicibile: se Silvestra ancora amava, doveva, dietro quei muri, continuamente provare una simile angoscia. Ancora ecco la figura di Filippo Gonnesa in vetta alla montagna e l’impressione del suo rapido, limpido sguardo.

E s’egli era innocente?

In fondo in fondo, nelle incoscienti regioni dello spirito, Stefano si meravigliò per la strana calma con cui pensava a cose che solitamente gli procuravano sdegni violentissimi. E rialzò la testa, si scosse, balzò in piedi. Ma per lunghe ore della notte, mentre invano spiava il passaggio di qualche cinghiale o di qualche faina — in mancanza di meglio si sarebbe contentato d’una miserabile volpe — il pensiero del nemico e il dubbio della sua innocenza gli tornarono a intervalli, passandogli nella mente come saette rapide, ma luminosissime.

Verso mezzanotte, stanchissimo, vinto dal sonno e anche un po’ dal freddo, ritornò nella