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panna, si degnavano di rubacchiargli destramente la cena (Gelsomina aveva in giornata dato la caccia ad una gazza, l’aveva sepolta, e verso sera disseppellita e divorata, lasciandone appena il becco e le piume rigate d’azzurro); il cavallo brucava e ruminava un fascio d’erba fragrante; vaghi bagliori guizzavano nell’imponente oscurità della montagna, e alla luce vaga delle limpide stelle autunnali le pecore ancor pascolavano, ripienendo il gran silenzio notturno con la lenta e continua vibrazione argentina delle loro campanelle. Stefano pensò vagamente alla fresca dolcezza solenne di un idillio di Teocrito, e canterellò:

“Candìda Galatea, perchè rifiuti
Chi t’ama?...„


ripensando ai primi giorni del suo amore per Maria, ai rifiuti e alle ripulse di lei; e mille memorie giovanili, di ricordi perduti, di piccole cose lontane, di tenerezze dimenticate, gli vennero in quell’ora misteriosa, nel cerchio magico di quella oscurità rischiarata appena dagli astri, dal cielo chiaro, dai lontani orizzonti allagati ed immersi in vapori infinitamente dolci e diafani.

Fu in quell’ora, dopo quella giornata d’arcane sensazioni, che forse per la prima volta egli pensò intensamente al destino di sua so-