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gna si rendevano più distinti e melanconici nell’immenso silenzio dell’alta solitudine.
Il Porri ritornò accompagnato da uno dei pastori; le capre e i porci si ritirarono nei recinti di siepi, il fuoco brillò nella capanna e a Polluce e alla Capra, gialle come pupille di ambra, fecero tremula corona altre ed altre stelle bianche, azzurre e verdi, apparse nel cielo, la cui luminosità di madreperla s’era cambiata in un dolcissimo e diffuso color di pervinca.
Per cena il Porri tirò fuori del lardo e pane d’orzo e un po’ di latte di capra; quest’ultimo, cosa assai rara in quella stagione, fu offerto a Stefano; porgendogli un corto cucchiaio grigiastro, fatto con l’unghia di una pecora, il pastore gli consigliò:
— Ci metta dentro del pane.
Ed egli, ch’era squisitissimo nel mangiare, si adattò tuttavia alla pastorale cena e non ne provò disgusto. I due pastori intanto sfregarono vigorosamente il lardo sul pane, finchè la sua grigia superficie divenne bianca; poi misero sulle brage il pane così unto, e, allentito dal calore, lo attortigliarono e se lo divorarono beatamente a grandi bocconi. Stefano li guardò come trasognato; dopo cena accese un sigaro e uscì nuovamente sulla radura. Il mastino ringhiava perchè due dei cani del signore, non contenti del pane avuto nella ca-