Pagina:Deledda - La giustizia, Milano, Treves, 1929.djvu/218


— 210 —


lentischio. Stefano si curvò per guardar meglio entro la bocca dell’animale, ma uno dei pastori gli chiese rudemente:

— Lei non ci crede, non è vero?.

— Non molto! — diss’egli, sempre curvo.

— Allora, se mi permette, la prego d’allontanarsi. In queste cose ci vuol fede, ed è la fede che fa tutto. Se una sola delle persone assistenti deride il rimedio, questo non ha efficacia.

— Ma io non derido nulla!

— Se non crede è come che derida!

— Sta bene! — disse Stefano sollevando la persona. — Dio vi aiuti.

E si allontanò, un po’ stizzito, un po’ mortificato, ma sopratutto sorpreso della misteriosa potenza che le semplici cose, dette volgarmente superstizioni, avevano su quegli uomini selvaggi, rotti ad ogni passione e scevri da tanti altri pregiudizi ben più pericolosi.

Presso la capanna trovò il figlio del Porri, che si disponeva a partire per il villaggio.

— Aspetta, gli disse, — ti dò un biglietto per mia moglie, ma lo porterai appena arrivato. A che ora arrivi? Presto? Il tuo ronzino ha, come te, le gambe lunghe come pioppi.

Il ragazzo rise gaiamente del bel complimento, e mentre si allacciava gli sproni sui piedi ignudi, Stefano staccò un foglietto dal taccuino, e curvo sopra una pietra, portando