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di pecore pascolanti, che s’avviarono stupidamente l’una presso l’altra, col muso a terra, e dopo aver formato una lunga fila si fermarono, si ristrinsero, si aggrupparono di nuovo, formando una macchia giallastra a chiazze nere; poi ripartirono a rilento, spandendo per la china la rustica melodia dei campanacci. E Stefano, che in quel gruppo guidato dalla oscura figura del mandriano, in quel fondo di paesaggio alpestre, in quell’ora dolcemente rossa del tramonto, ritrovava profonda e viva la suggestione artistica dei bei quadri del Segantini, andò dietro il ragazzo finchè lo raggiunse e lo riconobbe.
Era Bore Porri, un bellissimo adolescente rosso, ritornato poco prima dalla ricerca del sacro lentischio. Il pastore attendeva la completa scomparsa del sole per applicare al bue malato le foglie miracolose; raggiuntolo, Stefano stette a guardare curiosamente con le mani intrecciate sulla schiena.
Il sole scomparve, lasciando una zona d’oro dietro le vette; un tepore profondo dilagava per l’aria, sulle macchie e le pietre calde; e il rosso delle lontane montagne si smorzava in tiepide tinte pavonazze.
Salirono altri due pastori e aiutarono il Porri a spalancare la bavosa bocca del bue per introdurvi alcune manate di orzo macinato, fra cui eran state pestate poche foglie del sacro
Deledda, La giustizia. | 14 |