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minare, e dove, sotto un riparo di frasche, giaceva steso su uno strato di paglia il bue malato. L’altro bue pascolava un po’ più giù, ma di tratto in tratto scuoteva le corte orecchie pelose, e mandando un leggero vapore dalle narici e dalla bocca ruminante volgeva la testa, quasi per guardare pietosamente l’infermo compagno.

Rasentando col capo le frasche del riparo, Stefano si curvò e stette a guardare. Vedendo che il bue, un magnifico animale giallo dal muso bianco, respirava affannosamente, con gli occhi socchiusi e la bocca orlata di bava, egli indovinò che la malattia era una forte infiammazione viscerale, e appena il Porri si fece vedere gli disse:

— Fareste bene a dargli un po’ di olio, invece di praticare certe sciocchezze.

Ma il pastore aveva dato al bue e l’olio e tante altre cose. Invano.

— Sa lei, don compare, da quando è malato? Le dico la verità, come se mi trovassi alla presenza di Dio.

— Se pure a Dio direste la verità! — disse Stefano, sollevando una mano; e si preparò ad udire un’altra sciocchezza. Infatti il Porri gli confidò che, dieci giorni prima, mentre usciva dal villaggio col giogo che trascinava l’aratro, aveva incontrato il vecchio Gonnesa.

— Dove vai, Arcangelo Porri?