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volta, ora sarebbe rimasto lassù, sulla Porta dei venti, e avrebbe fulminato il suo nemico e persecutore.

Invece s’era tirato da una parte per lasciar passare colui il cui saluto non poteva che inasprirgli le più sanguinanti piaghe del cuore, e poi era disceso senza voltarsi, senza diffidare, senza porsi in atto d’offesa o di difesa; e il suo sguardo, benchè rapido e sorpreso, era stato così limpido e sereno, che anche Stefano, nel suo turbamento, era sceso senza ombra di diffidenza o di timore.

Dopo circa mezz’ora egli passò il varco della sua grandissima tanca, che scendendo giù per tutto il resto della montagna si stendeva poi in fertilissimi pascoli per un tratto della sottostante pianura. Meno aspro e meno arido dell’opposto, questo versante era vôlto ad oriente, in faccia alle lontane montagne che guardavano il mare, fra le quali spiccava, dolcemente azzurro nella sua chiara tinta calcarea, Monte Bardìa: boschi d’elci e fitte brughiere coronavano la tanca degli Arca, chiusa da muriccie di schisto le cui lastre brillavano come frammenti di metallo bruno; il nuraghe, che dava il nome al territorio, consisteva solamente in un mucchio di grossi macigni neri che parevano passati al fuoco.

Il Porri, che aveva subaffittato la tanca ritenendo per il bestiame i pascoli meno fertili