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afferrarne una sola, e precisamente quella buona e nobile di pace e d’equità che l’aveva seguito su dalla valle sottostante: e benchè sotto il travestimento da paesano riconoscesse Filippo Gonnesa, salutò.

Ma lo colse tale un turbamento, un forte palpitare, che non s’avvide se il nemico aveva o no risposto al saluto; e solo dopo un certo tratto di strada ritrovò perfettamente tutte le sue percezioni. Allora si stupì, si sdegnò, sentì tutto il sangue salirgli ardente al volto: e di nuovo le sensazioni feline e violente vollero levarsi ribelli, rinfacciandogli quel saluto come una viltà; ma ancora una volta s’impose, solenne e limpida come l’estesa visione del gran cielo sereno, del gran peasaggio or confinante con le cerule montagne della costa, la nobile idea di giustizia e di pace che lo aveva conquiso nella valle e seguito su per la Scala dei gigli. Ianna ’e bentos (Porta dei venti), com’era chiamata l’estrema cima del sentiero, s’allontanava ancora. Scendendo lentamente il versante orientale, mentre il cavallo andava ancor più cautamente, Stefano pensò per la prima volta che il Gonnesa poteva essere innocente del delitto imputatogli. Gli restava vivissima negli occhi l’impressione del limpido e profondo sguardo direttogli rapidamente da lui.

Era egli innocente?

Doveva forse esserlo, perchè, se colpevole una