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Mimìa veniva dall’orto, lentamente, aristocraticamente, attraversando il viale con passettini silenziosi, scuotendo ogni tanto le zampette che parevano calzate di velluto chiaro; e con lampeggiamenti di smeraldo nei grandi occhi verdi come due acini d’uva, saliva i gradini, entrava e leccava la scodella. Se qualche donnicciuola veniva allora per affari o per far della maldicenza, vedendo Maria in cucina, seduta presso zia Larenta che filava e la gattina che scuotendo la zampettina leccava la scodella, diceva fra sè:

— Oh, com’è affabile donna Maria Arca! Pare impossibile!.

Nella severa stanza da pranzo Maria s’indugiava a rimettere in ordine le stoviglie e la biancheria della guardaroba; e provava dispiacere se rinveniva qualche oggetto o guasto, o rotto, o semplicemente mal governato. Amava sempre ogni angolo ed ogni cosa della vecchia dimora, e talvolta si stupiva del suo affetto per questi umili e modesti oggetti, mentre della ricca mobilia elegante, degli arredi e della fine biancheria di casa Arca non aveva che superficiale conoscenza, e se ne scordava facilmente.

Lontana dalla ricca casa pisana, ella si sentiva estranea, e le camere eleganti le sembravano vuote e desolate; casa Arca non apparteneva più a nessuno; non a Silvestra che era fuggita, non a don Piane che aveva cessato