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una piccola bisaccia rossa a bianchi fiorami, ricolma di provviste, vino e munizioni.
Il cavallo era un bellissimo ed elegante animale nero, di pelo lucente, con lunga e larga coda, la testa fina macchiata in fronte, sotto un ciuffo di morbidi crini, da una stella bianca: e bei denti forti e la schiena non ancor depressa dalla montatura ne dimostravano la giovinezza; i grandi occhi umidi e violacei e le piccole orecchie frementi rivelavano irrequieta fierezza di buona razza. Stefano, che possedeva nelle sue tanche cavalli e puledri, lo amava assai e preferiva, e andando a caccia con quello e coi cani favoriti, gli sembrava d’esser in lieta e amabile compagnia. Così mancava intere giornate, e talvolta non riportava nulla, ma rientrava a casa di buon umore, e Maria, dopo aver trascorse molte ore melanconiche, si rallegrava tutta.
Anch’ella s’annoiava sovente.
Dopo i primi due mesi di matrimonio aveva espresso il desiderio d’impiantare un telaio, o trasportar da casa sua quello che conteneva ancora interrotta la bella coperta bianca a rose rosse; ma Stefano, che per un tempo aveva ammirato e apprezzato l’umile patriarcale lavoro, s’oppose.
— Macchè! Macchè! Tu non hai bisogno di questi melanconici passatempi.